STORIE DI CONFINE TRA SGUARDI INCROCIATI E INTERVENTI SUL TERRITORIO

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RESOCONTO DELLA GIORNATA INTERNAZIONALE DI STUDI “STRADE DELLA MEMORIA”

 

Le memorie individuali, i racconti di vita dei testimoni sono capaci di far emergere nuovi e penetranti sguardi sulla storia dell’area di confine nel corso del Novecento. Si tratta sguardi che, nella loro diversità, mettono in luce una dimensione soggettiva ed emozionale che sembra indispensabile per comprendere come le molteplici comunità che vivono e hanno vissuto lungo il cosiddetto “confine mobile” hanno affrontato gli sconvolgimenti del secolo appena trascorso.

È proprio a partire da una riflessione sulle fonti orali e sul ruolo che possono avere nell’interpretazione storiografica che ha preso avvio la Giornata internazionale di studi “Strade della memoria. Storie di confine tra sguardi incrociati e interventi sul territorio”. L’iniziativa – promossa dall’Associazione Quarantasettezeroquattro di Gorizia con il sostegno dell’Unione Europea, della Regione FVG, delle Province di Gorizia e Trieste e della Fondazione Carigo –  si è configurata come una delle tappe conclusive del progetto “Strade della memoria” che ha visto la recente inaugurazione dell’Archivio multimediale della memoria (www.stradedellamemoria.it) e che porterà, il 2 febbraio 2013, all’inaugurazione di Topografie della memoria, un vero e proprio museo diffuso a cielo aperto. La giornata di studi, che ha visto la partecipazione di docenti provenienti dalle principali Università italiane e slovene, è stata un’importante occasione di riflessione e dibattito a tutto campo sui temi del confine e delle memorie, una riflessione che ha coinvolto storici, sociologi, curatori di archivi e musei ed esperti in audiovisivi e nuove tecnologie.

L’intervento introduttivo di Gabriella Gribaudi, docente all’Università di Napoli e

presidente dell’Associazione italiana di Storia Orale, ha permesso di contestualizzare le questioni riguardanti la rielaborazione pubblica e individuale delle memorie lungo il confine nel più ampio

panorama nazionale e internazionale. Il ricordo dei lutti e delle violenze legate alla Seconda guerra mondiale presentano caratteri molteplici e contraddittori in molte zone d’Italia, dove i civili hanno subito da un lato l’occupazione nazista e dall’altro i bombardamenti alleati, eventi che si sono profondamente radicati nei ricordi personali e collettivi. Gribaudi ha sottolineato l’importanza delle fonti orali per lo studio dell’impatto di queste violenze sulla dimensione individuale e famigliare e per cercare di promuovere un approccio che non sia solo politico-militare ma anche sociale, attento alle dimensioni psicologica ed emotiva. La riflessione di Anna Maria Vinci, dell’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste, ha poi cercato di ricondurre questi temi all’area di confine, fornendo uno sguardo d’insieme sugli snodi storici e interpretativi più delicati e discussi nel periodo che va dall’affermazione del fascismo fino alla definizione del confine: dalle politiche d’italianizzazione della popolazione slovena e croata al collaborazionismo, dalla lotta di liberazione all’esodo e alle foibe. Temi che hanno visto numerose e approfondite ricerche storiografiche su entrambi i lati del confine. Proprio sui rapporti tra storiografia e memorialistica italiane e slovene si è focalizzata l’attenzione di Marta Verginella dell’Università di Lubiana. L’auspicio, anzi la necessità potremmo dire, è quella di promuovere un approccio che sia realmente transfrontaliero, che superi le prospettive nazionali prendendo in considerazione il “confine degli altri”. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che il confine orientale d’Italia era il confine occidentale della Jugoslavia ed oggi delle Slovenia. Il dibattito che si è sviluppato a partire da queste prime relazioni ha subito fatto emergere la ricchezza degli spunti e degli stimoli di riflessioni e di come questi argomenti siano particolarmente sentiti dalla popolazione.

La seconda sessione si è focalizzata su alcune ricerche specifiche, su alcuni casi di studio che hanno messo in luce le potenzialità delle fonti orali nello studio di diversi momenti e fasi storiche. Kaja Širok, direttrice del Museo Nazionale di Storia Contemporanea di Lubiana, si è concentrata sul periodo del Governo militare alleato e della creazione del confine, anni in cui i meccanismi di ridefinizione identitaria della popolazione sono apparsi particolarmente fluidi. Nel momento delle lotte per l’appartenenza nazionale dell’area, le scelte compiute dai singoli hanno visto spesso il confronto tra fattori politici e ideologici ed elementi famigliari, lavorativi ed emotivi. Di identità plurime ha parlato anche Anna di Gianantonio presentando la storia esemplare di una donna, Maria Antonietta Moro, che decide di collaborare con la Resistenza: il suo diario sembra mettere in crisi molti stereotipi legati ai ruoli ricoperti dagli uomini e dalle donne in guerra. Se i primi non sempre si presentano come eroi coraggiosi e determinati, le seconde non si limitano alle funzioni di cura e sostegno morale e famigliare, ma si rivelano capaci di scelte radicali che comportano anche l’uso dell’inganno e della violenza per il raggiungimento di un ideale per cui vale la pena correre dei rischi.

Nel pomeriggio, la sessione su archivi e musei della memoria si è aperta con la presentazione in anteprima, in piazzale della Transalpina, di due stazioni di “Topografie della memoria”, il percorso museale diffuso che a partire dal 2 febbraio vedrà coinvolti 10 luoghi di Gorizia e Nova Gorizia. Dei totem in ferro battuto propongono al visitatore molti diversi punti di vista sul luogo in cui si trova e consentono l’accesso ad un’applicazione multimediale in cui si possono ascoltare i racconti di vita dei testimoni, vedere immagini e linee del tempo e lasciare la propria testimonianza diretta. I partecipanti, guidati da Alessandro Cattunar e Raffaella Canci dell’Associazione Quarantasettezeroquattro hanno potuto fruire questi documenti attraverso smartphone e tablet. Questo nuovo tipo di esperienza museale è stato poi messo a confronto con il lavoro svolto a Caporetto presso il museo della Grande Guerra da Željko Cimprič. Giovanni Contini, della Soprintendenza archivistica della Toscana, si è addentrato nelle questioni relative all’uso delle tecnologie audiovisive nelle ricerche di storia orale. La registrazione audiovisiva delle interviste ai testimoni ha permesso la moltiplicazione dei canali comunicativi e ha rivoluzionato le pratiche di conservazione e archiviazione. Al contempo, però, si è rivelata necessaria una profonda riflessione sui codici comunicativi, sulla rielaborazione e il “montaggio” dei materiali e soprattutto, sulle questioni etiche e legali relative alla divulgazione di storie personali.

Nel panel conclusivo si è cercato di moltiplicare gli sguardi e le prospettive: Alessandra Marin, dell’Università di Trieste, ha riflettuto sui legami tra eventi storici, sviluppo urbano e presenza del confine, sottolineando come, all’interno dei processi modifica dell’assetto urbanistico, storia e memoria rivestano un ruolo fondamentale. Giulio Mellinato, dell’Università Bicocca di Milano, ha ricordato lo iato (Mind the gap!) che si è troppo spesso verificato, almeno nel goriziano, tra un passato gravido di storia e strategie di sviluppo che hanno cercato di azzerare ogni trascorso e proprio per questo si sono rivelate inefficaci. I rapporti tra luoghi della città, sviluppo e memorie – tematiche  poste al centro della riflessione attorno al Museo diffuso dell’area di confine – sono state affrontate da un punto di vista sociologico da Laura Richelli, dell’ISIG.  La ricercatrice ha fatto notare come ci sia una profonda differenza tra “luoghi della memoria” – che sono, sì, luoghi segnati dal passato ma sono ancora oggi luoghi “vivi” di scambi e attività sociali – e spazi della memoria o semplici spazi della storia che appaiono sbilanciati, o perché le memorie non trovano più modo di riemergere o perché, al contrario, si cristallizzano e non appaiono più legate alle pratiche sociali.

L’intervento conclusivo di Mirco Santi, del DAMS di Gorizia, si è focalizzato su una fonte storica che dimostra profondi legami con quelle orali: i film di famiglia. Si tratta di filmati amatoriali, per lo più girati in pellicola di formato ridotto (8 mm, super 8, Patè baby) che sono in grado di riportare alla luce lo sguardo privato e famigliare delle persone sulla città, sui luoghi e su piccoli e grandi eventi che li hanno attraversati.

La giornata, nel suo insieme, anche attraverso i molti interventi del pubblico, ha ribadito quanto sia importante riflettere in modo complessivo su queste tematiche, senza steccati ideologici e disciplinari ma soprattutto a voluto rimarcare la necessità di promuovere un lavoro congiunto tra associazioni, istituti di ricerca ed enti pubblici, sfruttando al meglio le risorse e promuovendo percorsi interconnessi che si rivolgano alla cittadinanza come ai turisti, agli studiosi come ai semplici curiosi.

 

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